Associazione Culturale Aristocrazia Europea

martedì 17 dicembre 2013

SCIENZE AUSILIARIE DELLA STORIA, GLI ORDINI DI CAVALLERIA


 
Il Conte Fernando Crociani Baglioni (insieme alla consorte, Contessa Simona) con il Principe Stephan Cernetic del Montenegro ed il Principe Guglielmo Giovannelli Marconi.
 
 
 
Mi congratulo vivamente e con grande ammirazione con l’Exc.mo Sr. D.  Francisco Acedo Fernández Pereira, e con tutti i curatori militari e civili, della Mostra organizzata a Madrid dal Ministero della Difesa del Regno di Spagna;  in quanto non è questa una mostra esclusiva per gli studiosi, per gli appassionati, per gli “addetti ai lavori”. E’ questa una mostra di alta cultura che coniuga l’interesse generale per la storia, per le sue scienze ausiliarie, con un’attenzione speciale, tradizionalmente propria del mondo castrense,  verso gli Ordini  militari e civili, sovrani e religiosi, dinastici e statuali, di merito militare, civile, culturale o di bneeficenza ;  il loro “diritto cavalleresco”  così contiguo  al “diritto nobiliare”, che unitamente alle scienze genealogiche,  a numismatica, vessillologia, faleristica, uniformologia, filatelìa, rappresentano la congèrie  disciplinare,  o se si vuole, interdisiciplinare dell’Araldica in senso lato, ovvero delle Scienze Ausiliarie della Storia.
Non può esservi infatti un’analisi scientificamente  approfondita della storia del Secondo, come del presente Terzo Millennio,  che possa prescindere dalla simbologia; cioè dai simboli araldici e cavallereschi che accompagnarono le epoche nella loro successione e interdipendenza; sia verso gli avvenimenti politici, sociali, religiosi, culturali, economici,  dinastici, diplomatici e  militari, nazionali, internazionali o locali, che le caratterizzarono.  Non v’è personaggio o corpo sociale, ecclesiastico, militare, accademico o politico, centrale o locale; non v’è dinastia, famiglia aristocratica o istituzione politica monarchica o repubblicana, che siano entrati nella storia, che non siano raffigurati dalla relativa arma o scudo, motto o impresa, dai loro titoli, gradi e dignità. Così fu per gli Ordini di cavalleria; quanto alla loro fondazione, alla loro natura giuridica, alla loro evoluzione e trasformazione al passo coi mutamenti istituzionali e politici, alle caratteristiche specifiche dei propri gradi, alla relazione stretta che ebbero con le istituzioni militari e i loro ceti e gradi; nonché al mutare del gusto estetico e artistico, delle mode e delle sensibilità condivise in ogni epoca storica.
La tradizione degli ordini cavallereschi affonda le sue radici all’epoca delle Crociate, al pieno Medioevo, agli albori del secondo millennio, quando l’Occidente cristiano e l’Europa nel suo complesso si difendeva e si batteva, e continuò a battersi nell’arco di tutto il millennio.  Contro l’espansione arabo-musulmana, saracena e successivamente turco-ottomana; sino ai nostri tempi in cui la nostra Civiltà occidentale sotto minaccia è chiamata a difendersi  contro l’attacco terroristico jahidista.  Eppure tutti, il grande pubblico di questo inizio di terzo millennio,  nelle monarchie o nelle repubbliche, negli stati nazionali o in quelli federali, qualsiasi cittadino, anziano lavoratore o giovane studente, che veda alla propria festività nazionale, sfilare le Forze Armate in parata,  può rendersi conto della suggestione delle decorazioni cavalleresche sul petto degli ufficiali, o appuntate sulle bandiere di guerra degli eserciti. E chiedersene il significato,  il valore simbolico,  e provarne il fascino che da sempre croci e medaglie destano nell’animo del cittadino animato da sincero patriottismo, ed acceso dal vincolo di spirito e di sangue che lo lega alla storia, al passato, presente e futuro della propria terra, della propria Patria, qualunque ne fosse la forma politica e  istituzionale di governo.
Infatti non v’è funzionario civile o ufficiale delle istituzioni castrensi, magistrato, professionista affermato  o imprenditore di successo, giornalista, scrittore, cattedratico o diplomatico di lunga carriera,  che non aspiri ad una ricompensa morale per il suo buon servizio reso nell’arco della vita professionale alla pubblica amministrazione o nelle forme più articolate e variegate, allo Stato, alla  propria nazione, al  sovrano legittimo o al  presidente legalmente, costituzionalmente eletto.
E queste ricompense si chiamano “Ordini”, in quanto sono istituzioni che emanano da un’autorità legittima, e si articolano in gradi, a seconda della rilevanza dei meriti specifici  (carriere specchiate o gesta  militari o civili), del valore personale più o meno eccezionale che il loro conferimento, indossandone le rispettive insegne,  intende  onorare; o del  rango del decorato, cittadino o straniero, di cui  l’insegna medesima  vuol testimoniare il prestigio  pubblico e  sociale, a livello nazionale o internazionale.
Da cui gli Ordini nella storia si andarono articolando per tipologie:   Ordini sovrani, come il Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, detto di Rodi, detto di MaltaOrdini Militari:  come gli Ordini di Santiago de la Espada (nei rami spagnolo e portoghese),  di Calatrava, di Alcantara e Contesa; l’Ordine del Cristo (nei rami Pontificio,  e della Corona Portoghese, assunto al mutamento istituzionale quale ordine di merito militare  dalla Repubblica Portoghese); l’Ordine Militare di Savoia (assunto al mutamento istituzionale quale Ordine Militare d’Italia dalla Repubblica Italiana).  Ordini di Collana, detti anche Ordini Supremi, caratterizzati da un’unica classe e per insegne  collare e placca :   a cominciare dai Supremi Ordini Pontifici del Cristo e  dello Speron d’Oro;  l’Ordine Supremo  del Toson d’Oro (nei due rami imperiali, dal Sacro Romano Impero, austriaco e spagnolo); l’Ordine Supremo della SS.ma Annunziata  (massima istituzione cavalleresca del Regno di Sardegna e poi d’Italia,  tuttora conferito dal Capo della Real Casa di Savoia );  l’Ordine dei Serafini, dell’Elefante Bianco,  etc.
Sovente gli Ordini di merito, istituiti in Europa nei secoli XIX  (ad imitazione della Legion d’Onore di Francia)  e vieppiù nel XX,  anche nelle nazioni extraeuropee, nei consueti sei gradi (cavaliere, ufficiale, commendatore, grand’ufficiale, cavaliere di gran croce – gran cordone, cavaliere di collare – gran collare), comprendono il grado massimo di Cavaliere di Collare, che richiama e in una certa misura sostituisce l’Ordine Supremo a classe unica di Collare.  E’ questo il caso dell’Ordine Piano, pontificio, che dal 1939 comprende il grado massimo di Cavaliere di Collare, che i Romani Pontefici conferiscono di prassi ai sovrani e capi di stato, anche non cattolici, laddove non sussistano i requisiti di meriti eccezionali verso la Santa Chiesa che comportino il conferimento del Supremo Ordine del Cristo o, a seguire, dello Speron d’Oro.   Tra gli ultimi insigniti del Supremo Ordine del Cristo furono:  S.M. il Re Vittorio Emanuele III, S.M. il Re Umberto II , S.E. il Generalissimo Francisco Franco,  S.M. il Re Baldovino, S.E. il Generale Charles de Gaulle, S.E. il Presidente  Antonio Segni, S.E. il Presidente Giuseppe Saragat, S.E. il Capitano Generale Principe del Drago, Comandante della Guardia Nobile, S.A.Em.ma il Principe e Gran Maestro Frà  Angelo de Mojana.
Sempre forte anche nella splendida, spettacolare Mostra militare madrilena la suggestione tradizionale,  il fascino che gli Ordini di Cavalleria in ogni epoca suscitano in tutte le generazioni, e come auspichiamo vivamente, nelle giovani e giovanissime, destando, traendo in ogni uomo e donna, con la forza  spirituale e l’insegnamento inesauribile dell’identità comunitaria e nazionale, l’etica   del  retaggio.
 
Sua Eccellenza Cavaliere di Gran Croce Prof. Fernando Crociani Baglioni
 
*Pubblicato nel catalogo dell’esposizione sugli Ordini cavallereschi nel dicembre 2011, a cura del Ministero della Difesa del Regno di Spagna .

lunedì 25 novembre 2013

Per una nuova aristocrazia europea.

 

Nobiltà ed Elite Tradizionali - Vent'anni dopo

 

   Venti anni fa, nel 1993, veniva presentata a Roma e Milano, con considerevole ripercussione sulla stampa, quella che sarebbe stata l’ultima opera scritta da Plinio Corrêa de Oliveira: «Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII». Oggi, gli avvenimenti sembrano dare nuova attualità al tema.  “In nome del Papa Re. Dai salotti la marcia sul Campidoglio”; “Professore brasiliano teorizza la controrivoluzione”; “La nobiltà al potere”; “Stemmi e corone rivendicano il potere”; “Un importante volume di Plinio Corrêa de Oliveira”. Ecco alcuni titoli apparsi sui giornali all’indomani del lancio in Italia del libro di Plinio Corrêa de Oliveira «Nobiltà ed élite tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII al Patriziato e alla Nobiltà romana» (Marzorati, Milano 1993).  “Stati generali dell’aristocrazia romana al completo”: così Il Tempo titolava il servizio sul lancio dell’opera a Roma, presentata nell’imponente Sala del Baldacchino di Palazzo Pallavicini, a due passi dal Quirinale. “Dobbiamo comprendere la portata dell’appello che sale dalla gente – ha sottolineato nella sua relazione il principe Sforza Ruspoli – il popolo vuole vedere incarnati i valori della preghiera, dell’azione, del sacrificio, che i nostri antenati santi, condottieri ed eroi testimoniarono a prezzo della vita”. A Milano, il libro è stato presentato a Palazzo Serbelloni, in concomitanza col Convegno Internazionale della Nobiltà Europea. A Napoli, la presentazione ha avuto luogo nell’Hotel Excelsior, alla presenza di S.A.R. Carlo di Borbone, duca di Calabria. Il successo è stato tale che anche la Repubblica ha dovuto ammettere tra i denti: “Napoli non ha mai perduto certi umori monarchici”. Il volume è stato successivamente presentato a Palermo, Padova, Firenze, Forlì, Tolentino, Torino, Verona, Genova, Gavi e altre città. L’opera di Plinio Corrêa de Oliveira, anche incoraggiata dal plauso internazionale, è stata pubblicata in 10 edizioni, tradotta in 6 lingue, diffusa in 32 paesi. Qual è il motivo di un tale successo? “Attualmente mi sembra che l’atteggiamento dell’opinione pubblica sulla nobiltà sia molto meno influenzato dagli errori della Rivoluzione francese di quanto non fosse fino a poco tempo fa”, spiegava Plinio Corrêa de Oliveira in un’intervista al mensile francese Le Nouvel Aperçu. In un mondo sempre più in rovina, in cui alla crisi economica si accompagna una crisi spirituale e culturale sempre più accentuata, sembra che molte persone cerchino sollievo elevando lo sguardo al simbolismo rappresentato dalla bellezza della Tradizione. Comincia a nascere in molti spiriti la nostalgia di un ordine naturale sano. Come il figlio prodigo, crescenti settori dell’opinione pubblica rimpiangono la rottura con la Tradizione, e anelano alla restaurazione della civiltà. Anelito che si manifesta, per esempio, nell’entusiasmo popolare per le feste di incoronazione e per i matrimoni dei reali.  Di fronte all’affermarsi di un certo pauperismo, la difesa delle legittime gerarchie – che altro non sono che un riflesso sociale della ricerca della bellezza e dell’eccellenza – diventa più attuale che mai. L’opera di Plinio Corrêa de Oliveira si staglia come un supremo sforzo in vista della salvezza della civiltà occidentale e cristiana. Ricordando un aspetto spesso trascurato del Magistero della Chiesa, il trattato intende proclamare la legittimità, anzi la fondamentale sacralità di una società gerarchicamente costituita, riscoprendo il ruolo delle élite, infondendo in esse il coraggio di riaffermare il loro tradizionale ruolo di influenza, tanto più necessario in un mondo come quello odierno in preda ad un disordine sempre più grande.

 

 Anticipando un tema del numero di dicembre della rivista Tradizione Famiglia Proprietà, ecco un articolo su questo importantissimo tema:

http://www.atfp.it/2013/111-dicembre-2013/885-ventanni-dopo.html

 

       Per eventuali richieste del libro, anche come originale regalo di Natale a qualche conoscente, al prezzo speciale di Euro 15,00, scrivete una mail a info@atfp.it oppure utilizzate l'apposito menu:

http://www.atfp.it/richieste-materiale.html

 

      Cordialmente, JULIO LOREDO
 
 

Newsletter dell'Associazione Tradizione Famiglia Proprietà — Novembre 2013 — 1


 
 

Vent’anni dopo

 

di Juan Miguel Montes

 

Nell’articolo “Resuscitando Darcy”, eloquente quanto ampio (un’intera pagina), pubblicato sul Corriere della Sera il 5 ottobre scorso, Maria Serena Natale scrive che “le monarchie non hanno mai goduto di tanta popolarità come nell’epoca della democrazia digitale: tra abdicazioni, matrimoni, scandali e incoronazioni in Gran Bretagna, Norvegia, Svezia, Danimarca, Spagna e Paesi Bassi attraggono attenzione mediatica e affetto sincero. Non è il risvolto politico che appassiona ma il velo lungo di Kate all’altare, quel mondo lontano di carrozze, fregi, stemmi e ricami. (…) Priva di quell’alone di sacralità, la repubblica non ha la stessa presa emotiva sulle masse. D’altronde quando la corona annulla le distanze dal mondo “borghese” nel tentativo di modernizzarsi, perde mordente. E il caso dei reali svedesi, che negli ultimi 25 anni sono scesi dal 90 al 60 per cento nei consensi”.

 

Un fatto da constatare

L’articolo mette con acutezza il dito nella piaga di luoghi comuni denigratori che, a partire dalla Rivoluzione francese, prevalgono sulle aristocrazie. Tuttavia c’è un fatto: nonostante l’onnipresente e martellante ripetizione che se ne fa, essi non sembrano riuscire a mutare a fondo l’animo umano. La giornalista del Corriere della Sera aggiunge significativamente che il fenomeno da lei descritto si accentua ancor più in momenti di crisi, di mancanza di fiducia, di caos, come quello in cui viviamo. Si potrebbe pensare a semplice futilità, invece ciò riflette il profondo desiderio dello spirito umano di essere appagato dal mistero, dal trascendente e, persino, dal meraviglioso. Un’aspirazione questa che nessun discorso sui beni materiali o sulle novità tecnologiche potrà mai soddisfare.

Secondo la Natale il voler “annullare le distanze” per “modernizzarsi”, fa perdere “mordente” alle monarchie e riporta l’esempio di ciò che è accaduto in Svezia: la dinastia, negli ultimi anni, imborghesendosi ha perso, di conseguenza, sempre più consenso. Questa, in realtà, è una constatazione che vale non solo per le monarchie ma anche per altri ambiti, quali, ad esempio, la liturgia e l’architettura. Insomma, è una esigenza che trapela proprio dal popolo comune, il quale sovente si stanca del grigiore massificante e degli appiattimenti cui è costretto, manifestando prima o poi l’anelito all’esatto opposto.

 

 Un libro storico

Venti anni fa, nel 1993, alla fine di ottobre, venne presentata a Roma, con considerevole ripercussione sulla stampa, quella che sarebbe stata l’ultima opera scritta da Plinio Corrêa de Oliveira. Parliamo del saggio: “Nobiltà ed élites tradizionali analoghe nelle allocuzioni di Pio XII”. Il pensatore brasiliano, prendendo spunto dal magistero di papa Pacelli e discernendo l’esaurimento della spinta propulsiva al discorso ugualitario imposto dalla Rivoluzione Francese in poi, invitava l’aristocrazia ed élites tradizionali analoghe ad una ripresa del loro ruolo di servizio al bene comune, al fine di illuminare come un faro il resto del corpo sociale con le loro eccellenze culturali e morali, in tempi che già si preannunciavano di crescente confusione e oscurità.

“Oggi – asseriva il filosofo cattolico – gli errori della Rivoluzione del 1789 vanno ‘invecchiando’ e perdendo influenza. Ciò non significa che tale influenza sia piccola, ma è minore di un tempo e tende a diminuire sempre di più”.

L’evento, svoltosi nella magnifica cornice di Palazzo Pallavicini a Roma, allarmò la Repubblica, diretta da Eugenio Scalfari, pontefice massimo del secolarismo sinistrorso, finendo in prima pagina, nella cronaca interna e nel fondo. Un altrettanto noto quotidiano della Capitale, Il Tempo, salutava, al contrario, con beneplacito la monografia di Plinio Corrêa de Oliveira. Dopo aver qualificato l’autore come “maître à penser della Destra”, ne riconosceva il merito avuto nel riproporre, in termini originali, un valido invito all’impegno di un ceto singolarmente vocato al servizio della società. Un’idea, questa, rafforzata, secondo la cronaca del quotidiano romano, dal Cardinale Alfons Stickler che, in conclusione del convegno, affermò: “Come i triari romani che, marciando alle spalle delle legioni, erano capaci di ribaltare la disfatta in vittoria, così l’aristocrazia deve sapere trasfondersi nell’animazione cristiana della società”.

 

Due opzioni preferenziali armoniche

È questo un discorso valido nel mondo di oggi e nell’ambito di una “Chiesa dei poveri e per i poveri”, si domanderà qualcuno? È ragionevole chiedere, come faceva l’autore del saggio, un’azione anche pastorale in favore delle élites che si affianchi alla giusta e ampia azione per i bisognosi, all’opzione preferenziale per i poveri, come era solito dirsi allora?

Tralasciando il fatto che anche le élites sociali si trovano, non di rado, impoverite nell’attuale contesto storico, Plinio Corrêa de Oliveira sottolineava che una eventuale opzione preferenziale per i nobili non esclude quella per i poveri, e l’una non si contrappone all’altra, come insegna Giovanni Paolo II: “Sì, la Chiesa fa una opzione preferenziale per i poveri. Una opzione preferenziale, si badi, non dunque un’opzione esclusiva o escludente, perché il messaggio della salvezza è destinato a tutti”. Entrambe le opzioni rappresentano modi diversi di manifestare il senso di giustizia e carità cristiana che sole possono affratellarsi nel servizio dell’unico Signore, Gesù Cristo, che fu modello dei nobili e dei poveri. Queste parole servano di chiarificazione per coloro i quali, animati dallo spirito della lotta di classe, ritengono che esista una relazione inevitabilmente conflittuale tra il nobile e il povero.

L’autore brasiliano poneva l’accento, alla maniera dell’agere contra ignaziano, sulla prevalente tendenza utopica e demagogica che pretende di appiattire tutti in una massa ugualitaria e anonima. Qualcosa che equivarrebbe a negare la realtà che ci mostra come - al di là della essenziale uguaglianza di tutti gli uomini - sono legittime e necessarie le diseguaglianze causate dagli accidenti. Infatti, Pio XII, nel Radiomessaggio del Natale 1944, insegnava che “le ineguaglianze provenienti da accidenti come le virtù, il talento, la bellezza, la forza, la famiglia, la tradizione ecc., sono giuste e conformi all’ordine dell’universo”.

 

 

Rinasce l’egualitarismo utopico?

Tale dottrina delle giuste ineguaglianze fu sostenuta da san Tommaso come un bene di per se stesso, in quanto riflesso dell’ordine della Creazione e una via per conoscere ed amare il Creatore. In seguito, essa è stata ribadita da un lungo magistero pontificio in cui armonicamente trovano posto e legittimazione grandi, medi e piccoli in un ordine sociale che – sebbene debba fornire condizioni degne e giuste per tutti - non deve mai puntare al livellamento totale.

Come si sa, il discorso egualitario dal sapore marxista è stato apparentemente superato dal crollo dell’impero comunista. Tuttavia esso viene riproposto in modo ricorrente da tendenze, persino cattoliche, che vorrebbero trasformare anche la Chiesa in un campo di battaglia di “oppressi” contro “oppressori”, aggiornando così la teoria della lotta di classe, nonostante si cerchi opportunisticamente di negare l’apparentamento originario a Marx, figura ormai screditata, per associarla a un presunto obbligo religioso.

Una grande occasione di propaganda i neo-egualitari la trovano or ora in certe situazioni createsi con la crisi finanziaria ed economica internazionale, certamente originata anche da azioni profondamente immorali, ma che non si risolve affatto attingendo a ricette egualitarie bocciate dalla storia, dopo che esse hanno dimostrato la loro intrinseca incapacità di migliorare le condizioni di vita. Un fatto dovuto proprio al diniego utopistico delle legittime differenze presenti nell’ordine naturale e sociale.

Ma il discorso neo-egualitario trova conferma nella realtà attuale?

 

 Le nazioni più avanzate non sono ugualitarie

L’opera di Plinio Corrêa de Oliveira segnalava il carattere organico e naturale della formazione di un’élite dirigente storica e a conferma di ciò mostrava come anche nei modernissimi Stati Uniti, una nazione nata repubblicana, si siano formate famiglie eminenti che fanno di questo Paese una realtà largamente aristocratica e tendenzialmente tradizionale. Altroché mito degli Stati Uniti, nazione super-egualitaria. Ciò conferma un’altra constatazione sull’ordine naturale già messa in evidenza da Papa Pacelli: “Anche nelle democrazie di fresca data e che non hanno dietro di loro alcun passato di vestigio feudale, si è venuta formando, per la forza stessa delle cose, una specie di nuova nobiltà o aristocrazia” (Allocuzione al Patriziato e alla Nobiltà romana, 1947).

A questo punto sarebbe da domandarsi se un analogo processo di ricreazione dell’élite sociale e culturale non stia avvenendo ora persino nella ex Unione Sovietica, cioè in quello che fu un gigantesco laboratorio per la costruzione della società assolutamente ugualitaria. A parte la prevalenza socio-economica di personalità di origine più o meno dubbia, a volte fortemente coinvolte nella realtà comunista precedente, è un fatto noto che vecchi rappresentanti della nobiltà in esilio siano tornati da Londra e Parigi a Mosca e San Pietroburgo, dove hanno trovato accoglienza ed affetto sia nel popolo sia nei circoli culturali e religiosi più importanti della Russia, i quali vedono in loro genuini rappresentanti di una identità che i bolscevichi cercarono di cancellare.«Chassez le naturel, et il reviendra au galop» dicono i francesi.

 

 Nessuno è immune dal lustro della tradizione

Si sa, inoltre, che i nuovi ricchi russi e cinesi sono i maggiori datori di lavoro di maggiordomi laureati in esclusive accademie londinesi. Trattasi di persone di notevole formazione culturale, capaci non solo di organizzare eventi sociali e di coordinare il personale di servizio, ma in grado di parlare ottimamente le lingue e discorrere sui più svariati argomenti storici e di attualità, con quell’elevata raffinatezza raggiunta in genere nell’Europa occidentale e, in specie, dalle casate gentilizie britanniche. Ed è proprio questo, a parte naturalmente la ricchezza, che molti tra i nababbi dei paesi emergenti vorrebbero trasmettere ai propri discendenti, riconoscendo così la superiorità della tradizione sul mero potere del denaro. Del resto, non a caso Papa Pacelli diceva ai nobili nel saluto annuale del 1958 che persino chi “ostenta noncuranza e forse disprezzo per le vetuste forme di vita, non va del tutto immune della seduzione del lustro”.

Da qui l’attualità e persino la nota di preveggenza presente nel pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira. Nonostante l’involgarimento generalizzato e l’appiattimento indotto, forse anche proprio a causa di questo, vasti settori dell’opinione pubblica si aprono sempre di più a tendenze e idee contrarie all’andazzo corrente. Parlando del ruolo della “Nobiltà e delle élites tradizionali analoghe”, egli non pensava certo alla ripresa del ruolo, come corpo costituito, nella direzione dello Stato che la nobiltà aveva avuto in passato, dalla difesa militare alla diplomazia alla magistratura, bensì di mettere al servizio del bene comune “il suo inestimabile capitale di principi, di tradizioni, di stili di vita e di modi di essere, la cui perdita andò in detrimento delle altre classi sociali, passate a vivere sotto l’influenza criticabile e, a volte, perfino ridicola dei nuovi ricchi”.

Questo, e non altro, era poi il fulcro delle allocuzioni rivolte da Papa Pacelli alla nobiltà e al patriziato romano: utilizzare le risorse che restano loro per avviare un nuovo corso di elevazione culturale, morale e religiosa in beneficio di se stessi e del resto della società.

 

       

 

giovedì 21 novembre 2013

La famiglia imperiale Romanov festeggia i 400 anni dall'ascesa al Trono di Russia.



 
 
Sua Altezza Imperiale il Granduca Giorgio Michele di Russia festeggerà i 400 anni dell'ascesa al Trono della Famiglia  Romanov, con una grande festa benefica che si terrà a Bruxelles, con la partecipazione di diverse "teste coronate" oltre che di rappresentanti di tutta l'autentica aristocrazia europea ed asiatica. Infatti, il legittimo erede al Trono di tutte le Russie, è un perfetto esempio di riuscita integrazione (culturale e religiosa) Euro-Asiatica, essendo figlio di Sua Altezza Imperiale il Principe Francesco Guglielmo di Prussia e Germania e di Sua Altezza Imperiale la Granduchessa di Russia, Maria Vladimirova (figlia dell'ultimo erede maschio della dinastia Romanov, il compianto Gran Duca Vladimiro Cirillo). Il giovane principe russo-tedesco è un moderno paladino della Tradizione ed uno strenuo difensore delle radici cristiane dell'Europa. Allo storico evento internazionale parteciperà anche una delegazione italiana guidata da Sua Eccellenza il Principe Don Guglielmo Giovannelli Marconi. Con lui, esponente della aristocrazia più tradizionalista e patriottica, sono stati invitati, non a caso, anche il Nobile Mario Filippo Brambilla di Carpiano ed il Nobile Roberto Jonghi Lavarini Freiherr von Urnavas.
 
 

lunedì 18 novembre 2013

Paolo Barbaccia Viscardi

 
 
Il Conte Paolo Barbaccia Viscardi, appassionato studioso di storia, Tradizione, araldica, ordini cavallereschi (in particolare di quello teutonico), dirigente monarchico ed autentico patriota. 
 


 

Serenissima Casa Ducale d'Este Orioles

 

* La Serenissima Ducale e Comitale famiglia d’Este Orioles

 
Per comprendere meglio, il presente scritto è necessario riportare delle nozioni di carattere storico e geografico su Tortorici, Cittadina in Provincia di Messina, proscenio della Famiglia d’Este, prima e d’Este Orioles dal 1662, patria di Augusti Avi e processori.
Tortorici, cittadina Nebroidea, nella Sicilia Nord Occidentale che ha, come tutte le Città Civiche dato illustri natali a eminenti personaggi. In tempi recenti è importante citare l’Onorevole Giuseppe Faranda. Deputato al Parlamento Italiano dal 1906 al 1927, oltre che Alti Ufficiali delle Forze Armate e dell’Arma dei Carabinieri, per quest’ultimo vanno sicuramente ricordati i Fratelli Denti, dei Principi di Piraino, entrambi Generali dell’Arma durante le drammatiche vicende successive all’otto settembre 1943. Innumerevoli i personaggi che hanno ricoperto alte Cariche Istituzionali, in Magistratura nelle Forze Armate e Alte Cariche dello Stato che hanno avuto i Natali da questa Città.
Probabilmente fondata in epoca bizantina da popolazioni di origine greca, che dal VII e VIII secolo si spostarono prima nell’Africa del Nord e successivamente si trasferirono in Sicilia e nell’Italia Meridionale, che abitarono il luogo chiamandolo Orice in memoria della località Aures da cui provenivano. Risorta durante il periodo normanno, citata già nel 1082 come Turi Polit ed in successivi documenti del 1151 come Terra di Turri Tidich o TurrisTudith.
I primi documenti che la citano sono comunque della fine del secolo XI. Federico di Svevia concesse il territorio di Tortorici a Guidone Pollichino. Nel periodo Angioino il feudo andò a Girardo e Bertrando de Artus, ma con l’avvento degli Spagnoli tornò ai Pollichino. In seguito passò a Federico Moncada. La Famiglia Moncada rimarrà proprietaria fino al 1597, quando Federico Moncada,vendette la baronia alle Famiglie Mastrilli e Corbera.
Tale premessa è necessaria per farci comprendere, quanto antica e quanto importante sia la Storia di questa piccola Città Siciliana ed il perché nei secoli avvenire discendenti, anche se cadetti, di una dinastia come quella Estense, avessero deciso di stabilircisi. Il suo massimo sviluppo, la Città lo registra nel corso del XVII Secolo, quando vantando già il Titolo di Città Regia, si riscattò infatti dal gioco feudale nell’anno 1628, divenendo la 41a Città Demaniale dell’Isola, ospitò l’insigne Pittore Giuseppe Tomasi, lo Scultore e Pittore Antonello da Messina e diversi maestri d’arte, i quali contribuirono ad arricchirla di un Patrimonio Artistico e Culturale di inestimabile valore.
 
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L'Accademia Estense di Studi Umanistici e Sociali, nasce con l’unico scopo di patrimonializzare le origini storico-culturali della Famiglia Estense ramo Siciliano, che nell’anno 1662 diventa a seguito di Contratto Matrimoniale d’ Este Orioles. Ferme le finalità delle origini: e cioè , promuovere mediante pubblicazioni, tornate, celebrazioni, corsi di insegnamento e manifestazioni varie gli studi letterari, storici, filosofici, scientifici, tecnici, giuridici, economici, amministrativi e le attività artistiche, con speciale riguardo alla cultura, alla vita artistica e al progresso della Città Italiane, ove la, sia storicamente accertata la presenza della Famiglia Estense anche di rami cadetti. Entrano nei compiti peculiari dell'Accademia la vigilanza sulla tradizioni storico culturali, la loro conservazione, nonché la valorizzazione mediante manifestazioni d'arte adeguate alla dignità storica. La conservazione del Patrimonio Araldico Nobiliare e Cavalleresco della Dinastia Estense, la conservazione; il prosieguo e la Patrimonializzazione Storico Culturale delle Prerogative della Famiglia d'Este Orioles.
L’ Accademica si ispira allo statuto originale del 1860 emanato da Antonino d’ Este Orioles.
 
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Per perpetrare e ricordare non solo i Personaggi e gli Avi, ma anche i Santi, che hanno contraddistinto la Storia di questa Famiglia, Contardo del Ramo Ducale d’Este, Santo e Protettore di Broni e Giuliano l’Ospitaliere al quale è dedicata la Contea e Signoria della Famiglia d’Este Orioles, esercitando la Fons Honorum, S.A.S. Don Antonino II d’Este Orioles, ha fondato, con proprio Decreto, nell’anno 1860 l’Ordine dei Santi Contardo e Giuliano .
I motivi che spinsero il Duca Antonino II, il giorno 31 Agosto 1860 a fondare e dedicare l’Ordine di Collazione della Famiglia, dedicandolo ai Santi Contardo e Giuliano e ponendolo sotto la Loro Santa Protezione, sono sicuramente da ricercare nelle brevi e sintetiche notizie biografiche, che di seguito si riportano.
San Contardo d’Este
San Contardo nacque a Ferrara nel 1216, primogenito dei principi d'Este, signori della Città. Già nei primi anni della sua giovinezza Contardo sentì la voce di Dio che con forza lo chiamava ad abbandonare le ricchezze terrene e il diritto di successione, per vivere in povertà, pellegrino del Vangelo sulle strade d'Europa, senza un luogo in cui trovare riparo, sull'esempio del Maestro Divino. Il giovane principe, lasciata Ferrara con alcuni compagni, si mise in viaggio verso il Santuario di San Giacomo di Compostela, edificando con la sua fede e semplicità chiunque incontrava. Giunto a Broni (Provincia di Pavia, Diocesi di Tortona), cadde ammalato ed espresse il desiderio di essere ivi sepolto qualora lo cogliesse la morte. E così avvenne il 16 Aprile 1249. Alcuni prodigi impedirono che tutto ciò avvenisse nell'anonimato e rivelarono la santità dello sconosciuto pellegrino (le campane si misero a suonare da sole e splendenti fiammelle si accesero accanto al corpo), suscitando la venerazione dei bronesi che tumularono il santo corpo con tutti gli onori, nella chiesa parrocchiale, già Collegiata, poi eretta in Basilica Minore. San Contardo fu venerato con culto approvato da Papa Paolo V e arricchito di indulgenze da Papa Urbano VIII . La memoria liturgica della salita al cielo è celebrata il 16 Aprile, mentre la memoria della traslazione del corpo all'interno della Basilica Minore di San Pietro Apostolo in Broni è celebrata, con grande concorso di popolo e processione, l'ultimo sabato di Agosto.  
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San Giuliano
 
La storia parla di un benestante mercante fiammingo dal carattere duro e vendicativo che un giorno, partito per la caccia, non esita ad uccidere il padre e la madre coricati nel suo letto credendoli la moglie e il suo presunto amante. Dopo questo fatto decide di cambiare vita e di migrare per l'Europa in cerca dei bisognosi; è una vita di preghiera e di espiazione. Dopo anni ed anni di cammino arriva sulle rive del fiume Potenza dove traghetta da una parte all'altra pellegrini e malati di lebbra. La leggenda vuole che un giorno un malato di lebbra stava cadendo dalla sua barca e lui non si tirò indietro dal dargli la mano salvandolo dalle acque; quel lebbroso era il Signore che con quel gesto voleva vedere se Giuliano fosse cambiato in cuor suo. Il reale pentimento, la reale voglia di espiazione e la vita dedicata alla preghiera e ai poveri bisognosi malati lo fecero diventare santo.
E’ noto inoltre, che al Santo Giuliano, è dedicata la Chiesa Patronale fatta costruire dal Conte e Signore di San Giuliano Don Antonino d’Este Orioles nell’anno 1668, nella località di Tortorici, denominata appunto San Giuliano, località che per volere del Vicere di Sicilia, Francesco Maria Caetani Regnante Filippo IV di Spagna è parte delle Titolature Comitali e della quale la famiglia gode Diritto di Signoria.
Il giorno 15 del Mese di Agosto dell’Anno 2010, l’attuale Capo di Nome e d’Arme della Serenissima Casa Ducale e Comitale d’Este Orioles, nella qualità di Gran Maestro, ha reso più attuali ai tempi gli originali statuti, adottando anche l’Uso delle Decorazioni, nelle Classi di Cavaliere di Gran Croce decorato di Collare; Cavaliere/Dama di Gran Croce; Commendatore/Dama di Commenda; Cavaliere/Dama.
Ha altresì istituito quale Gran Maestro, Motu Proprio, per premiare tutte quelle genti o Enti Associativi ed Enti Morali, meritevoli e che si sono distinte nel campo della Filantropia; dell’Assistenza Sociale e della dedizione alle classi meno abbienti, la Medaglia di Merito in unica Classe. L’Ordine, nel rispetto degli Originali Statuti e nelle consuetudini della Famiglia, viene concesso in Rarissimi Casi, attraverso il Decreto Motu Proprio a firma del Gran Maestro.

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Casa Imperiale Cernetic del Montenegro



I ČERNETIĆ DISCENDENTI DIRETTI
DELL'IMPERATORE COSTANTINO
 
http://www.imperial-royal-arms.org/home.html

 "Tra le famiglie che maggior antichità vantano, e nobiltà di sangue, è certamente la Casa Cernovichio, traendo ella sua origine da' Costantini Imperadori. Possedeva ella negli ultimi tempi il Principato di Macedonia, ma... le fu tolto dall'armi Ottomane". (Da Mariano Ventimiglia, "Il sacro Carmelo italiano, vita del venerabile frate Pietro Cernovichio, alias Angelo, Principe di Macedonia, sepolto nel Carmine di Valenza di Spagna", Venezia, 1779).
                 

  • 30 Novembre 1700, l'arcivescovo di Spalato, Stefano Cosmi, dà alle stampe il suo volume "Storia delle famiglie nobili del regno d'Illiria", dove scrive: "Da quest'Augustissima Casata Comnena deriuano per dritta linea Zarnoeuichi (sic) Principi de' Montenegrini ... e Castriotto detto Scanderbego";


  • Discendenti della famiglia Imperiale bizantina dei Comneno, nei Balcani del Medioevo il patronimico era più usato del cognome: così Stefan Comneno "Gran Voivoda e Despota di Zeta" venne detto Stefan Černoe ossia Stefan il Nero per le sue temibili doti di combattente contro i Turchi: il suo regno venne chiamato Montenegro e i suoi discendenti iniziarono a farsi chiamare anche Černetić traducibile con il predicato "di Montenegro";


  • 1190, primi statuti dell'Ordine costantiniano di San Giorgio ad opera dell'Imperatore Isacco II Angelo Comneno.


  • 1331, Giorgio Černetić Comneno Paleologo, Gran Voivoda di Montenegro, aiuta il cugino Stefano "Duscian" Nemanjić, Zar di Serbia, a conquistare il trono.


  • 10 gennaio 1356, Giorgio Černetić di Montenegro libera dall'assedio degli ungheresi la città di Skradin, in Croazia, cedendola ai veneziani.


  • 1356, Simeone Černetić, noto anche come Simeone Paleologo, cugino del precedente, si fa incoronare Imperatore (Zar) di Serbia e regna fino al 1370.


  • Fine XIV secolo, i Černetić sono Sovrani di Budva e del Golfo di Cattaro.


  • 1403 - 1435, Giorgio e Alessandro Černetić sono riconosciuti da Venezia quali signori del Montenegro e "Imperatori titolari "greci" e "romani" di Costantinopoli, Serbia, "Grecia e "Romania"; il Montenegro -parola veneziana- cessa di chiamarsi Zeta per prendere l'attuale denominazione grazie al dialetto veneto e ai Comneno 'Neri', 'Cernei'.


  • XV secolo, Stefano I Černetić sposa Maria (Mara), sorella di Giorgio Castriota-Scanderbeg, con il quale combatte ben 64 battaglie contro i turchi. Come evidenziano pubblicazioni storiche sia antiche che moderne, i Černetić e i Castriota appartengono alla medesima famiglia (o clan) con cognomi diversi (da Giovanni Comneno-Castriota-Kastriotic, conte di Argirocastro);


  • Giovanni (Ivan, 1465 - 1490), Gran Despota di Montenegro, nel 1482 versa tributi al sultano ed è costretto a lasciare in ostaggio a Istanbul il figlio Stanislao. Bayazid II riconosce la sua sovranità sul Montenegro col nome di Ivan-beg (Principe Ivan) o Scanderberg. Sposa Goislava, figlia del Principe albanese Giorgio Arianiti Comneno e, in seconde nozze nel 1469, Maria, figlia di Stefano, Re di Bosnia e Duca di Erzegovina.


  • 1468, muore Giorgio Castriota Scanderbeg e i Černetić adottano in Albania e presso l'impero turco il nome Scanderbeg continuando a regnare sull'Epiro con questo nome per alcune generazioni.


  • 1473, Patrizi veneti con i nomi Černetić, Cernovichio, Cernovighio, Zernovichio, Zarnovicchio, Angelo, Comneno, Vuković. Marino Sanudo il Giovane, nel suo "Le vite dei dogi, 1423-1474", descrive così l'ingresso di Giovanni Černetić fra la nobiltà del Maggior Consiglio: "Fo preso in Gran Conseio, a dì 24 fevrer 1473, il magnifico e potente Zuane Cernovich, Signor nella parte di Xeno Superior et Vaivoda, nobele nostro del Mazor Conseio con li suoi eriedi".


  • 1479, Giovanni Černetić porta il suo esercito di serbi e albanesi in Italia per combattere a fianco degli spagnoli, ricevendone in cambio vari titoli e feudi in Puglia e nel Sud Italia.


  • 1481, Giovanni Černetić torna in Montenegro come Sovrano tributario dei turchi.


  • 1492, Giorgio Černetić, Sovrano indipendente del Montenegro e "Imperatore di Costantinopoli e di Serbia", riconquista il trono con l'aiuto dei veneziani. Sposa Elisabetta, figlia del patrizio veneto Antonio Erizzo. Da Venezia Giorgio porta al monastero di Cettigne, da lui fondato, la prima stamperia attiva nei Balcani e pubblica in caratteri cirillici fino al 1496. A capo della tipografia mette il Duca Božidar Vuković, nato a Podgorica (1460 - 1539), che più tardi diverrà stampatore imperiale di Serbia e Montenegro a Venezia.


  • Fine XV secolo, la figlia di Giorgio Černetić di Montenegro, Elisabetta, va in sposa a Radu il Grande, Gran Voivoida di Moldavia e Valacchia, e porta l'arte tipografica nell'odierna Romania.


  • Giovanni Černetić, ossia Ivan-Beg, a meno di trent'anni dall'invenzione di Gutenberg della stampa a caratteri mobili, fa allestire in Montenegro una tipografia, poi ampliata durante il regno del figlio Giorgio Černetić dal monaco montenegrino Macario, il quale la impiantò nel 1493. Fu il primo torchio da stampa al mondo con caratteri emiliani dopo quella di Schwainpold-Feol a Cracovia (1491).


  • Giorgio Černetić, Gran Despota di Montenegro, impressiona molto i veneziani per la sua statura altissima e l'avvenenza ("Essendosi l'uomo più prestante del suo tempo.. Et etiam lui, che è bellissimo homo et gran ben vestito d'oro a la grecha... Et la moglie con gran zoje vestita d'oro", scrive Marino Sanudo, 1466-1535, nei suoi Diarii) e per lo sfarzo delle sue vesti di foggia bizantina e del suo ricco seguito. Al rifiuto di prestare vassallaggio alla Serenissima viene imprigionato, ma si muove il re di Francia Luigi XII in persona per farlo liberare.


  • Giorgio Černetić unisce i suoi reparti alle truppe di Luigi XII e del Marchese di Monferrato nella conquista di Milano contro Ludovico il Moro. Combatte con i veneziani in difesa di Pisa contro Firenze. Giorgio raggiunge ancora Milano, poi è esule presso i cugini Paleologo, Marchesi di Monferrato, dove chiede uomini e mezzi per proseguire la lotta contro il turco (il Marchese Bonifacio XIII Paleologo ha sposato Maria Branković, figlia dello Zar di Serbia, parenti stretti quindi dei Černetić sia per parte Paleologo che Branković).


  • Stefano II Černetić (1496 -1498), fratello di Giovanni, regna su Montenegro e Albania anche lui col nome di Scanderbeg ma deve pagare tributi al Sultano.


  • 1513, Stanislao, terzo figlio di Giovanni Černetić, regna su Montenegro e Albania dal 1513 al 1530 anche col nome di Scanderbeg.


  • 1522, lo Zar di Serbia Giovanni II Černetić Nemanjić Comneno Paleologo, detto Cerneo o Il Nero, arma una milizia dell'Ordine costantiniano di San Giorgio contro i turchi e, successivamente, contro Giovanni Zapolya, Principe di Transilvania e gli Asburgo.


  • 1526, Giovanni II Černetić viene incoronato ufficialmente Imperatore di Serbia, "Romania" e "Grecia", nonchè Imperatore titolare di Costantinopoli, nella sua capitale Subotica, in Voivodina.


  • 1536, suo figlio Paolo I Černetić di Serbia e Montenegro ottiene da Carlo V d'Asburgo conferma perpetua dei suoi diritti ereditari.


  • Nobili di Dalmazia e Patrizi di Ragusa-Dubrovnik da tempo immemorabile, fiorenti sicuramente nel XIII sec. (Cfr. 4). Nobili d'Ungheria, Austria, Slovacchia, Croazia e Russia. Alti dignitari e governatori (Beg e Sangiak-Beg) dell'Impero Ottomano in Albania ed Epiro fino ai primi del '900. Ultimi Imperatori (Zar) di Serbia dal 1526;


  • 1543, nasce in Puglia, a Barletta, colui che sarà il Venerabile e Beato della Chiesa Cattolica Pietro Angelo Černetić (in italiano Cernovicchio), Principe di Macedonia e frate carmelitano, dove, sotto la protezione del re di Napoli, i genitori Ilija Černetić (in italiano: Elia Cernovicchio), all'epoca principe regnante in Macedonia, e la principessa Elena Castriota Scanderbeg si erano rifugiati esuli per l'avanzata ottomana nei Balcani; Così scrive Mariano Ventimiglia nel suo volume "Il sacro Carmelo italiano" (1779): "Tra le Famiglia, che maggior antichità vantano, e nobiltà di sangue, è certamente la Casa Cernovicchio, traendo ella sua origine dà Costantini Imperatori. Possedeva ella negli ultimi tempi il Principato della Macedonia, ma quello per fatal disposizione del Cielo le fu tolto dall'armi Ottomane, nel mentre legitimo Principe n'era il Genitore del nostro Venerabile, chiamato Elia Cernovicchio" (Cfr.17).


  • Il celebre umanista fiorentino Leon Battista Alberti della nobile famiglia toscana, sposò una Černetić di Montenegro; il 6 luglio 1547 il principe Ivan (Giovanni) Černetić sposa la nobile fiorentina Paola Alberti, figlia di Giovanni Battista Alberti;


  • 17 luglio 1551, i Černetić-Comneno ottengono in Italia da papa Giulio III, con la bolla "Quod alis" il riconoscimento e l'esercizio del gran magistero dell'Ordine costantiniano di San Giorgio e degli altri cavalierati bizantini.


  • 1556 - 1563, il principe Michele Černetić e sua moglie Giovanna (Jovanka) sono gli interpreti ufficiali dell'ambasciatore veneziano presso la Corte ottomana; egli diviene in seguito, attraverso il nunzio apostolico del papa, il rappresentante a Istambul per conto del Sacro Romano Impero di Germania;


  • 1559, papa Paolo III conferma il gran magistero dell'Ordine costantiniano di San Giorgio ai Černetić Angelo Comneno viventi a Venezia, Geronimo, Pietro, Nicola.


  • 10 ottobre 1576, ulteriore riconoscimento del Papato per i Černetić-Comneno riguardo al gran magistero dell'Ordine costantiniano di San Giorgio, che viene posto sotto la regola di San Basilio. I cavalieri possono ottenere a pieno titolo benefici ecclesiastici e secolari, come il priorato della cattedrale di Brindisi; tre Duchi Černetić vengono sepolti con iscrizioni ancor oggi visibili sulle mura esterne della cattedrale di San Nicola, a Bari.


  • 1571, vari Principi Černetić combattono a Lepanto sia fra le truppe cristiane che quelle musulmane.


  • 22 marzo 1581, lettera di Francesco I de' Medici, Granduca di Toscana, al suo Ambasciatore alla corte di Napoli, Marchese Leonardo Salviati, nella quale lamenta che "Don Pietro Černetić di Croazia" concede la croce dell'Ordine costantiniano di San Giorgio in forma simile a quella dell'Ordine di santo Stefano di Toscana, e lo prega di intercedere presso il vicerè spagnolo Juan de Zúòiga affinchè intervenga presso papa Gregorio XIII per "..ridurre quella croce nella forma sua solita antica".


  • 1616, 1624, 1640, Stefano Giuseppe I Černetić, Zar di Serbia e Imperatore titolare di Costantinopoli, decora con la croce dell'Ordine costantiniano di san Giorgio "e di Santo Stefano" i valorosi combattenti delle campagne contro i turchi in Serbia, Zenta, Albania. Riconoscimenti nobiliari e lettere patenti da parte dell'Impero d'Austria-Ungheria negli anni 1561, 1578, 1606, 1615, 1616, 1640;


  • 1683 - 1688, Arsenio Černetić, Voivoda e Patriarca ortodosso dei serbi, guida l'esodo degli eserciti serbi dal Montenegro in Voivodina (Voivoda = Duca), Ungheria (oggi Serbia). Combatte i turchi a fianco di Eugenio di Savoia e Piccolomini, ricevendo dall'Imperatore Leopoldo I d'Asburgo lettere patenti, titoli e feudi in Voivodina e attorno a Budapest, dove elegge la sua capitale a Szentendre (Sant'Andrea).


  • Metà del XVII secolo, Stefano Černetić, "Principe di Macedonia e di "Croazia", fa sfoggio della "croata" (la cravatta), un nastro di seta nera o rossa, colori della famiglia Černetić, elegantemente annodato intorno al collo, in Prussia durante la Guerra dei Trent'anni (1618 - 1648). A Versailles il suo reggimento di cavalleria, formato interamente da nobili balcanici, sfila in parata di fronte a Luigi XIV e alla sua corte, e da allora a Parigi e nel resto d'Europa impazza la moda della "croate - cravatte". Nasce la cravatta.


  • Nobili ungheresi, Principi e Conti di Macsa e Kis-Orosz con lettere patenti datate 29.4.1720 di re Carlo III;


  • XVIII secolo, in Russia l'Imperatrice Caterina II -malgrado il Montenegro abbia perso ormai da tempo la sua sovranità- accredita ufficialmente il Principe Stefano Černetić a San Pietroburgo come Ambasciatore di "Serbia e Macedonia", con la promessa di liberare presto i Balcani dal giogo turco.


  • 15 settembre 1760, il Conte Černetić-Podgoriciani (=di Podgorica, capitale del Montenegro) conduce vittoriosamente in qualità di colonnello del reggimento russo degli Ussari di Moldavia e del reggimento degli Ussari di Serbia il famoso assalto sulla Berlino di Federico II.


  • Stefano Černetić detto "Il Piccolo Zar" diventa Imperatore di Montenegro e di Serbia, dal 1767 all'anno della sua morte per mano di un sicario turco, con l'aiuto della Russia di Caterina II, che, a difesa del Montenegro invia la flotta capitanata dal principe Orlov e dal principe Dolgorukij come consigliere militare. Stefan Giorgio IV Černetić sotto l'avanzata turca lasciò il governo dello stato in mano al metropolita ortodosso Petrovic Njegos di famiglia mercantile ebraica poi convertiti cristiano-ortodossi, e portò al sicuro l'esercito in Pannonia (Ungheria) in una regione che da allora in poi si sarebbe chiamata Voivodina (in onore del Gran Voivoda-Gran Duca Černetić) e dal 1919 fino ad oggi facente parte della Serbia in qualità di regione autonoma;


  • 7-18 agosto 1799, lo Zar Paolo I di Russia concede ai Černetić il titolo di Principi per il ramo principale e, per i rami cadetti, di Conti dell'Impero Russo con il predicato di "Podgoriciani" (di Podgorica).


  • Fine '700, Mosnier, pittore ufficiale della corte di Luigi XVI di Francia esegue il ritratto della Principessa Anna Černetić (1772 - 1810), figlia del Generale austriaco (poi russo) Simeone Černetić e moglie del noto scienziato russo Ivan Muraviev-Apostol (1770 - 1851), quadro oggi al museo dell'Hermitage di San Pietroburgo.


  • 1920, castello di Mácsa, presso Arad, Transilvania: Elisabetta, figlia del Principe di Montenegro Teodoro Černetić, Conte di Mácsa e Kis-Orosz, e della sua seconda moglie Olga, figlia minore del Barone Eugenio Duka de Kadar, sposa Eugenio Dadanyi, Duca di Mingrelia, ufficiale degli ussari.


  • il Principe Pietro Černetić di Montenegro (1810 +1898), conte di Macsa (oggi Macea, Transilvania, Romania) e Kis-Orosz (oggi Rusko Selo, in Voivodina, Serbia) rappresenta la contea di Arad in Transilvania in qualità di deputato al Parlamento ungherese fino al 1843; il 26.4.1848 è nominato prefetto della contea di Timis (Temes) con capoluogo Timisoara/Temesvar, ricevendo il titolo di conte di Timis;


  • 1849, fra i fedelissimi della rivolta ungherese di Kossuth vi è il Generale Janos Damjanich, marito di Emilia Černetić di Montenegro, Contessa di Mácsa e Kisz-Orosz.


  • Principi, Duchi, Conti e Baroni del Regno d'Ungheria (diploma di concessione dell'Imperatore Leopoldo I, 1688). Nobili e Principi in Russia, grazie anche al valoroso generale austroungarico Principe Simeon (in russo Semjon) Černetić, combattente nelle guerre napoleoniche, passato in seguito nella Guardia Imperiale russa del celebre reggimento Izmajlovskij. Sua figlia, Principessa Anna Černetić e i suoi due figli furono ritratti dal celebre pittore di Corte di Luigi XVI, Mosnier, quadro oggi all'Hermitage di San Pietroburgo. Un ramo cadetto di Russia, quello dei Conti Černetić, è anche diviso nella linea nota con il nome di Conti Podgoriciani (Podgorichani), da Podgorica, capitale del Montenegro;

    In Italia, i discendenti furono ascritti al patriziato veneto dal 1472, di religione ortodossa e in alcuni rami cattolica, col cognome Černetić, Cernovic, Cernoevic, Crnojevic, Crnoevic, Cernovicchio, Zernovichio, Zarnovicchio, Zarnoevic, Comneno, Angelo, Paleologo,Vukovic (Cfr. 6). Quali eredi diretti dei Comneno Angelo Paleologo Lascaris di Costantinopoli, si fregiavano del gran magistero dell'Ordine costantiniano di san Giorgio (Cfr. 11) e degli altri ordini cavallereschi bizantini, che in seguito, per difficoltà economiche dovute alle guerre contro i turchi, cedettero abusivamente dietro compenso ai Farnese (Cfr. 10). Oggi questo nobile Ordine di san Giorgio, che si dice essere il più antico della Cristianità (anno 312, documentazione certa dal 1190 e dal 17 luglio 1551, data in cui papa Giulio III, con la bolla ÒQuod alis" riconosce l'esercizio e la proprietà dell'ordine costantiniano di san Giorgio e degli altri ordini bizantini ai Comneno-Cernetic e nel 1559 papa Paolo III conferma il gran magistero dell'Ordine costantiniano di san Giorgio ai Černetić Angelo Comneno viventi a Venezia, Geronimo, Pietro, Nicola e il 10 ottobre 1576 ulteriore riconoscimento del Papato per i Černetić-Comneno riguardo al gran magistero dell'Ordine costantiniano di san Giorgio, che viene posto sotto la regiola di san Basilio. I cavalieri possono ottenere a pieno titolo benefici ecclesiastici e secolari, come il priorato della cattedrale di Brindisi; Oggi l'ordine di san Giorgio viene concesso anche dai tre rami Borbone di Spagna, Napoli, e Parma per il ramo cattolico;

  • I Černetić di Montenegro restarono nell'orbita austriaca e ungherese, nati e residenti in Ungheria, poi in Tirolo (nonno dell'attuale Capo della Casa) e Trieste (padre dell'attuale Capo della Casa);


  • L'attuale capo della Casa S.A.I.R. il Principe Stefan Černetić di Montenegro, nato a Trieste, vive a Monaco e Belgrado, prosegue la tradizione di famiglia quale Principe Gran Maestro e fons honorum come sua prerogativa dinastica di titoli nobiliari e ordini cavallereschi fra cui come discendente di san Costantino il Grande, dell'ordine di san Giorgio e degli altri ordini imperiali.


  • Vari furono in famiglia gli ambasciatori, gli intellettuali e gli scrittori fin dai tempi più remoti, fra cui Giovanni (Ivan-Beg) e Giorgio Černetić padre e figlio, Principi sovrani di Montenegro, pionieri a livello mondiale dell'arte tipografica e apportatori della prima tipografia a Cettigne nel 1493 e in Valacchia a meno di trent'anni dall'invenzione dei caratteri mobili di Gutenberg, il primo torchio da stampa in assoluto nel mondo slavo dopo la stamperia di Schwainpold-Feol a Cracovia nel 1491 (Cfr. 18). E inoltre Giovanni Černetić, meglio noto con lo pseudonimo latinizzante di Johannes Cernovicius o Cernovicianus, autore del De bello pannonico, cronaca degli avvenimenti guerreschi in Serbia e Ungheria nel XVII secolo, e di altri libri. Un suo ritratto è conservato nella galleria delle stampe della reggia di Versailles. Il principe Michele Černetić, con sua moglie Giovanna (Jovanka), nella seconda metà del Ô500 sono alla Corte Ottomana come interpreti ufficiali dell'ambasciatore di Venezia, per delicati negoziati; Michele, attraverso il nunzio apostolico di Roma, diviene in seguito ambasciatore a Istambul per conto del Sacro Romano Impero (Cfr. 13);
      Avramović, Nobili di Serbia, Croazia, Ungheria e Jugoslavia, Conti in Russia; di origine ungherese, residenti a Belgrado (Serbia), si tratta della casata più antica e illustre della nobiltà belgradese. In Serbia godettero di fiorente nobiltà da tempo immemorabile. Nobili di Agram (XVIII sec.); ufficiali di cavalleria, diplomatici, ingegneri e, più recentemente, docenti universitari (al Politecnico di Zurigo, Svizzera). Titolo di Nobili del SRI e stemma furono riconosciuti dall'Imperatrice Maria Teresa d'Austria con lettere patenti datate 1.III.1751-famiglia della madre dell'attuale Principe Ereditario, nata a Belgrado (Serbia).

      Jovanović, Nobili di Serbia, poi Jugoslavia. Casato originario della Bosnia (XVII sec.), passati in seguito a Belgrado. Il Re di Serbia Pietro I Karadjordjević era spesso ospite nelle battute di caccia presso la residenza di campagna dei Jovanović nella regione di Tara, a Bajna Bašta, dove la famiglia teneva il palazzo, le vaste terre e la famosa banca privata di proprietà. Ministri e Ambasciatori, tra cui l'ultimo Primo Ministro del Re Pietro II in esilio a Londra, fino al 1945. Svetozar Jovanović, ministro delle finanze sotto Tito fino al 1948, anno della sua espulsione dal Partito comunista jugoslavo per filostalinismo. Famiglia di politici, diplomatici e ambasciatori, ufficiali di cavalleria e d'artiglieria, intellettuali, banchieri. -Famiglia dell'ava materna dell'attuale Principe Ereditario, nata a Belgrado (Serbia).

      Lascaris (Grecia), nobili ellenici, ramo di Tessalonica (Macedonia Greca). Principi e discendenti dal casato imperiale di Costantinopoli. -Famiglia dell'ava paterna dell'attuale Principe Ereditario, nata a Salonicco (Grecia).

      La famiglia, residente oggi a Torino, Firenze e Belgrado (Serbia), è rappresentata dal capo della Casa, S.A.I.R. Stephan Černetić, Principe Titolare Ereditario di Montenegro, Serbia e Albania e dalla sua famiglia.

      Attraverso i Comneno Paleologo Angelo Lascaris, unitisi nel passato alla Case di Francia, Aragona, Asburgo, Savoia, Russia, Hohenstaufen, Altavilla e ad altre numerose e illustri casate, i Černetić possono a ragione dirsi imparentati con la più alta aristocrazia europea. Il casato Jovanović è imparentato a sua volta con i Nobili montenegrini Vukotić e con i Nobili Martinović, che hanno dato al Montenegro il suo primo Re (Nikola I Petrović Njegoš), a loro volta imparentatisi con i Savoia (discendenza dalla Regina Elena d'Italia) e altre Case Reali (Jugoslavia, Gran Bretagna, Bulgaria, Russia, ecc).

        
       
       
      Il Principe Stephan, dalla sua residenza ufficiale di Belgrado, Serbia, grazie alla fons honorum derivante dalla lunga tradizione storico-cavalleresca della casa Černetić, che ha regnato per secoli su ampie nazioni dei Balcani e con il titolo imperiale di Serbia, può, motu proprio, concedere le onorificenze del Casato.
      In caso di speciali benemerenze si conferiscono i ranghi di Cavaliere, Dama e Commendatore dell'antico Ordine Costantiniano di San Giorgio e degli altri ordini dinastici equestri della Sua Casa.
       
       
       

    mercoledì 13 novembre 2013

    Matrimonio del Conte Fernando Crociani Baglioni a Roma


     
    Domenica 10 novembre 2013, a Roma, è stato celebrato il matrimonio del Conte Cavaliere di Gran Croce Prof. Fernando Crociani Baglioni (noto esponente della aristocrazia più tradizionalista) con Donna Simona Farcas (discendente da una antica famiglia della Transilvania e rappresentante della comunità romena in Italia). Alla Santa Messa (rigorosamente in latino, con la presenza dello stendardo pontificio della nobiltà nera) ed al successivo rinfresco, hanno partecipato, fra parenti ed amici, numerosi ospiti illustri, fra questi: Sua Eccellenza l’Archimandrita Simeone Catsinas, Sua Eccellenza il Rettore Monsignor Pedro Huidobro Vega, Monsignor Josè Apeles Santolana de Puey, Fra Marco Galdini, Sua Altezza Imperiale il Principe Stephan Cernetic del Montenegro (Serbia, Albania e Voivodina), Sua Altezza Serenissima il Duca Don Antonio d’Este Orioles, la Principessa Donna Elettra Marconi, il Principe Don Carlo Massimo, il Principe Don Alberto Giovanelli, il Principe Domenico Napoleone Orsini, il Principe Danilo Moncada di Monforte, il Principe Ernesto Liccardi Medici, il Marchese Alessandro Carletti, il Marchese Carlo Incisa di Camerana,  il Marchese Federico Gomez Paloma, la Contessa Anna Teodorani Fabbri Mussolini, il Conte Massimiliano Pulvano Guelfi, il Conte Bruno Vaccari, il Conte Andrea Lignani Marchesani, il Barone Fabrizio Michele Tortorici di Vignagrande, il Barone Roberto Jonghi Lavarini Freiherr von Urnavas, il Barone Antonio Lazzarino de Lorenzo, il Barone Francesco Scardaccione, Sua Eccellenza il Console Gunar Riebs, l’Ammiraglio Mario Mancini, il Generale di Corpo d’Armata Riccardo Amato, il Colonnello Stefano Marsili, il vice Presidente del Senato Maurizio Gasparri, l’Onorevole Riccardo Mastrangeli e l’Onorevole Marco Scurria. E’ stato una giornata memorabile, contemporaneamente aristocratica e nazional-popolare, all'insegna della tradizione e della fratellanza fra i popoli cristiani ed europei, che rimarrà nei cuori, certamente degli gli sposi, ma anche dei partecipanti e dei numerosi cittadini romani e turisti che hanno assistito al pittoresco corteo nuziale ed alle improvvisate danze in Piazza Navona.